Giuseppe Gierut forgia un nuovo movimento artistico che chiama “ INFINITISMO” ove la percezione, l’Amore, l’energia e il pensiero si fondono per creare una nuova luce per un oltre senza fine.
Altri artisti di grande sensibilità, si riconoscono nel suo pensiero nel suo infinitismo e coerenti nella bellezza del loro creare, si incamminano insieme a lui nella trascrizione e ricerca della verità.
IL MIO INFINITO di Giuseppe Gierut
In ogni luogo s’affollano immagini di vita sospesa, d’incontri mancati, di un nulla pieno d’ombre e di echi. Rumori di un mistero eterno, che nutrono il dilemma senza fine del tuo essere. Voglio fermare il tempo, per scrutarne gli antri colmi di essere, per toccarne le presenze. Per liberarlo dai riflessi del passato. Dalle attese del futuro. Per mettere a nudo la Verità. Voglio afferrare il tempo nell’infinito per percepire gli attimi di eternità dove Finito e Infinito sono la stessa cosa. Dove l’Amore fa eguali tutte le cose. Andare dal finito all’infinito e tornare al presente. Voglio spalmare i miei colori e dar loro i volti, l’energia, la luce dell’eternità; voglio che narrino inizio, vita e fine dell’essere eterno. Voglio osare, voglio entrare nei labirinti dell’Arte, per rapirne le Verità nascoste e lapidate, per dare volto alla giustizia, per l’assoluzione della vita avuta e perché abbia senso voglio farmi accompagnare nei colori del tempo-verità e rivestire di spazio il vigore liberato. Voglio scrutare l’infinito del mio creato con il mio Infinitismo, trascriverlo, confrontarlo ad ogni risveglio e poco più, prima che il pensiero si smarrisca al di là dei confini conosciuti. Voglio lasciare il mio pennello, i miei colori, soli a contatto di tanta grandezza, perché mi riportino sensazioni ed immagini. Voglio raggiungerli nei luoghi irreali e da lì riprendere a dipingere questo nostro piccolo e straordinario mondo, nell’orizzonte dell’interminabile buio di luce che l’avvolge. Voglio restituire le piccolezze di questo pianeta ad un uomo nudo di alibi e, dunque, nuovamente capace di bene e d’Amore. Voglio che tutti intendano la fine come inizio e si presentino puri all’appuntamento con il tempo liberato, con i luoghi della Muse, con l’amore-giustizia. Con il bene. Un ‘impossibilità? Una provocazione? Forse, un’illusione, ma io voglio continuare nella mia ricerca di bellezza e verità. La voglio proporre. L’Arte sola può esser un indicatore di cammino, una guida coraggiosa ad ogni oltre, dove il nulla possa finalmente abbracciare l’eterno.
GIERUT DELL’INFINITISMO
Se ogni personale di Gierut non finisce di sorprendere e affascinare per l’audacia della sua ricerca e la forza coinvolgente dei suoi risultati, anche in questa occasione chi segue da tempo l’artista, eugubino d’origine e senigalliese d’adozione, o lo scopre per la prima volta, avrà modo di cogliervi altrettanto chiaramente quella coerenza che gli va comunque riconosciuta.
La sua più recente produzione può essere considerata indubbiamente lo scorcio, sia pure non definitivo anche se probante, di una sempre più rinnovata avventura creativa per un uomo con il vizio non assurdo di volare in alto, non certo per superbia bensì con l’umiltà e la fatica di chi scopre quotidianamente la propria insoddisfazione e il bisogno di interrogarsi sull’infinito e sul suo richiamo senza sosta.
Potremmo allora etichettare -a rischio di allungare la già interminabile sequela di “ismi”- come “INFINITISMO” questa tensione non estemporanea, bensì maturata nel corso di decenni e con tutta probabilità radicata nell’uomo prima che nell’artista, in simbiosi con le componenti (inconsce e no, tuttavia sapientemente elaborate in forme comunicative) di quella terra umbra che Gierut porta incise nella sua doppia natura di uomo e di artista.
Il viaggio di Gierut è lungo, ricco di luoghi e porti dove il suo spirito inquieto non ha mai esitato ad avventurarsi per cercarvi non solo spunti di riflessione, ma anche utensili per modellarla, linguaggi per raccontarsi, percorsi per fare di ogni sosta un nuovo punto di partenza e di ogni mèta raggiunta la pista non compiuta di un infinito labirinto.
Ragionando per grandi salti, si potrebbero ricordare le nature sospese tra l’uscita cosmogonica da un indecifrabile caos e l’energia incontrollabile che l’anima, quasi a voler recuperare l’infinito da cui sono state tratte materializzandosi; la cifra del sacro presente in alcuni lavori di ispirazione religiosa; l’intensa lettura del “Cantico delle creature”, il cui afflato lirico non trascura la ricerca di una sintesi tra il finito e l’infinito che pulsa in ogni sua parte, ancor più sollecitato dalla contemplazione e dalla gioia di chi si scopre parte privilegiata di un Tutto; infine, la quanto mai ardita e rarefatta traduzione figurativa di un poema religioso dedicato al crocifisso di Velazquez.
In Gierut coesistono la potenzialità dell’infinito come la tensione creativa e non meramente contemplativa, al cui interno si evidenziano e sostanziano fenomenicamente e figurativamente gli indizi, le soste, gli slanci, le scoperte, per assumere una ben individuabile connotazione comunicativa.
Per questo, la momentanea esaustività raggiunta deve essere subito oltrepassata, nutrendosi di un’energia che si spende nel liberarsi ogni volta in più di alcuni “pesi”, perche il respiro e l’altezza si potenzino senza dissolversi sterilmente. Anche in queste ultime opere, dunque, l’idea, il segno e l’atto convivono in dinamica armonia, nell’intento di evocare, sperimentandolo in carne e sangue, il “fiat” e il senso ultimo dell’universo.
Ben venga, dunque, questo “infinitismo” di Gierut, se può (come tra pochi egli sa fare) renderci partecipi di un misterioso inizio, tanto vicino eppure distante dal ricongiungimento fatale al Nulla, che in un giorno al di là del tempo saldò la parola all’atto, il finito all’infinito, il tempo all’eternità.
Enzo Calcaterra
Alcuni anni fa conobbi il segno pittorico di Gierut, (Gubbio 1948-Res. Senigallia) prima di ri-conoscere il Gierut uomo. Ne ebbi un’impressione immediata, senza diaframmi né fronzoli intellettualistici o con il solito codazzo di stramberie, snobismi, tic e sbuffi che spesso accompagnano un artista. Mi colpì nei segni la tensione, oltre lo spazio, verso l’infinito “senza cornice” che premeva nelle sue opere.Artisti come lui, sembrano provenire da un altro pianeta, che non è solo quello improbabile di uno spazio in cui non ci ritroviamo più. L’idea di INFINITISMO, di cui Gierut si è fatto promotore e portavoce e sostenitore, ha avuto una sorta di gestazione per stadi, una coerenza determinata da concomitanze. In lui, dunque, le potenzialità dell’infinito come tensione creativa e non meramente contemplativa, al cui interno si sostanziano fenomenicamente e figurativamente gli indizi, le soste, gli slanci, le scoperte, per assumere una ben individuabile connotazione comunicativa, sono altrettante fonti di energia, segmenti di un non-finito che si autodetermina e rafforza proprio in virtù della propria incommensurabilità. Enunciando i valori dell’INFINITISMO, Gierut non ha che fatto propria la candida confessione di Roland Barthes:”Vengo per sognare la mia ricerca ad alta voce”. Non c’è concepimento che attenda la fine del viaggio,ne salvezza o appagamento, bensì tumulto senza scampo ne requie, disperato e disperante. Sia detto per inciso, in Gierut c è evoluzione essenzialmente nei segni, messa a fuoco di un linguaggio come di chi scomponga sempre più nitidamente la luce, il pensiero, l’intuizione all’interno di un anagramma il cui nucleo resta identico e immutabile, già contenuto consustanziale ai segni e in quelli destinati a dissolversi. Ora nulla gli impedisce in modo salvifico, di sganciarsi verso il Caos come nello spazio infinito e senza gravità come farebbe un corpo terrestre, privo di direzione e fuori dal tempo. Egli resta così sospeso e appeso ad una navigazione di percezione, fatta di viaggi audaci, ma sapientemente calcolati, colmi di energia e sempre intesi a scoprire nuovi approdi, si immerge nel Caos che cerca di dominare e raccontare, in un apparente ma tutt’altro che sprovveduto andare alla deriva. Quella pensosa e angosciante voglia di Nulla, il cupio dissolvi delle cose, incitato dentro le cose, è l’unica legge che muove l’esistenza artistica di Gierut.In fondo c’è la luce ed è vano interrogarsi su perchè che non esistono. In definitiva, non ha ancora saldato il sospeso tra le due dimensioni (Spirito-Istinto e Ragione) che pensa di dominare, proprio perché sa che al termine del viaggio non resta che la rinuncia e abbandono di sé come strumento o la separazione dei due universi, ma non importa. Egli sa di dover continuare la ricerca nel mistero. Non si può tuttavia non rilevare la coerenza con cui Gierut ha proseguito con convinzione (se non con lucidità estrema) sulla strada verso il Nulla al di là degli opposti, che hanno inutilmente affaticato l’Occidente, una tela senza limiti, un àpeiron i cui colori si muteranno in un unico colore (bianco-grigio?), i fragori e i silenzi in un ininterrotto suono insonoro. Egli tenterà il recupero autentico del suo io razionale negando l’Altro, l’Ombra e la propria funzione (in definitiva, l’unica esistente) di portavoce, veicolo di messaggi suoi e non suoi. Infine potrà sprofondare,libero da dubbi e tormenti, nella fede senza aggettivi o mediazioni, senza la pretesa di rappresentare la sua ricerca, tanto meno di comunicarla, ma annullandosi semplicemente in essa. Un artista e la forza e l’amore con cui si batte come uomo, la sfida titanica nella quale si impegna a fondo per sé e per noi, ci aiuteranno comunque a conservare il rispetto per la misera specie a cui apparteniamo nella e per l’eternità.
ENZO CALCATERRA